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— Che hai fatto, oggi? — domandò sottovoce.
— E cosa vuoi che faccia? Non c’è niente da fare! Scender qui a portarti il pane, tornar là a portare l’erba! E loro che vivono come tre mummie! Zia Noemi oggi però s’è inquietata un poco, perchè zia Ester mi diceva che non riesce a metter su i denari per l’imposta. Si capisce! Spendono per me, e da me non vogliono niente! Io dissi a zia Ester: non preoccupatevi, andrò io dall’esattore. — Una furia, zia Noemi! Aveva gli occhi come un gatto arrabbiato. Non la credevo così collerica. Ebbene, mi disse persino: coi tuoi denari, se ne hai, compra un’altra fisarmonica a Grixenda. — Che male c’è, Efix, s’io vado da quella ragazza? Dove si va, se no? Zio Pietro mi porta alla bettola, e a me non piace il vino, lo sai; il Milese vuole che io giochi (così s’è fatto la fortuna, lui!) ed a me non piace giocare. Vado là, dalla ragazza, perchè è buona, e la vecchia dice cose divertenti. Che male c’è, dimmi. Dimmi?
Lo guardava di sotto in su, supplichevole, con gli occhi dolci lucidi alla luna. Efix aveva preso l’involto del pane, ma non poteva mangiare; sentiva la gola stretta da un’angoscia profonda.
— Nessun male! Ma la ragazza, benchè buona, è povera e non è degna di te.
— L’amore non conosce nè povertà nè no-