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avrebbe dovuto andar più a rilento nel sentenziarla impraticabile ed assurda, ponendo mente che era già stata fatta. Ma a lui pare stasse troppo a cuore di regalare ad Eratostene un proprio metodo, ovvero di nobilitare la propria invenzione col bel nome di Eratostene, per darsi fastidio della obbiezione: non essere impossibile ciò che pure è fatto ed esiste. — È degna d’essere veduta la maniera colla quale egli si toglie d’imbarazzo.
«Prima che io entri nel mio soggetto (così egli) debbo prendermi la libertà di fare qualche osservazione sopra una certa Tavola, che in mezzo ad altre cose attribuite ad Eratostene, è stampata alla fine della bella edizione di Arato pubblicata ad Oxford nel 1672, ed è ornata del titolo di Κόσκινον Ἐρατοσθένους. Essa contiene tutti i numeri dispari dal 3 fino al 113 inclusivamente, distribuiti in piccole cellette, con sopra in ogni celletta tutti i divisori d’ogni numero composto; ed i numeri primi sono distinti, per quanto dura la tavola, per non avere sopra di se nessun divisore. Questa Tavola è stata copiata probabilmente o da un Commento greco dell’Aritmetica di Nicomaco, che si conserva fra i manoscritti di Mr. Selden nella Libreria Bodleiana, nel quale, sebbene il manoscritto sia ora tanto deperito da essere in molti luoghi illeggibile, io trovo chiari vestigi di una tal tavola, che poteva essere più perfetta 100 anni addietro quando fu pubblicato l’Arato d’Oxford; ovvero da un altro Commento tradotto da un manoscritto greco in latino, ed in questa lingua pubblicato dal Camerario, nel quale s’incontra una Tavola della identica forma, che si estende dal numero 3 al 109 inclusivamente. Può essere sufficiente difesa per l’editore di Arato l’avere avuto queste autorità nel pubblicare quella Tavola siccome Vaglio d’Eratostene; specialmente per essere in una certa misura sostenute da alcuni tratti di Nicomaco medesimo. Ma il Vaglio d’Eratostene era affatto un’altra cosa.