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piuttosto che creare di getto tre o quattrocento Circondari nel rimanente della Penisola, col corteo di tre a quattromila nuovi impiegati con poco o niun lavoro. Se male mi appongo sono pronto a ricredermi ove altri me ne renda capace.

Tutte le discorse quistioni sono ardue, ma quello che supera infinitamente tutte le altre in importanza, tornerò a ripetere, è quella delle Regioni. Piuttosto che il Parlamento dovesse correre pericolo di prendere qualche funesta determinazione relativamente alle Regioni, sotto l’impero di prepotenti fatti nei solenni momenti che corrono, è da desiderarsi che si soprassieda. Il verbo d’Italia si annuncia dal Roveto ardente: non è forse necessario pronunciarne immediatamente il supremo decalogo, quando nel frastuono degli ancora agitati elementi dovessero riportarne jattura la unità e la forza dello Stato.


Mentre questo scritto era in corso di stampa comparve nella Gazzetta Ufficiale del Regno N. 224 la relazione del Ministro d’Agricoltura e Commercio a S. M., colla quale espone le proprie vedute sui bisogni dell’agricoltura, dell’industria e del commercio, e sui mezzi per farli paghi. Tale relazione è senza dubbio molto importante, ed alcune idee coincidono con singolare precisione a quelle da me espresse, se non che mi permetterei insistere pel Consiglio generale elettivo speciale di agricoltura nel modo da me tracciato, a preferenza di quanto accenna il Ministro, di inviati delle Camere d’industria e di commercio — che di agricoltura non hanno che l’inutile nome — ; insisterei per l’iniziativa e l’aperta cooperazione diretta del governo, per tutto ciò che ha tratto all’agricoltura. Inoltre ai grandi lavori e alle opere d’arte, meritano