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ficio per recarsi all’Adriatico a commerciare; e se pure il faranno non ci arrecheranno danno alcuno ma utilità, perchè non potranno rapirci nè in tutto nè in parte il vantaggio che già abbiamo con essi comune di essere bagnati da due mari? Sa egli che da semplice comunicazione fra stato e stato, e comunicazione commerciale, esiste una gran differenza? Che la prima il più delle volte è utile, la seconda quasi sempre dannosa? Se dunque apriamo le porte al confine di Napoli, noi non vi perderemo, perchè per esse passeranno persone soltanto, non merci, e si recheranno nello Stato non per trame il commercio dell’Adriatico di cui non abbisognano, ma per visitare le meraviglie dell’antica e della moderna Roma, o per passare ad altri Stati. Avverrebbe dei Toscani altrettanto? Amanti dei loro interessi non delle meraviglie di Roma, neppure saluterebbero da lontano questa gran capitale; ma volgendole appena entrati le spalle correrebbero alla difilata all’Adriatico per contenderci quel fonte di ricchezza che per noi soli può essere dischiuso. Ma voi (soggiunse in una nota piena di attico sale) ma voi temete il concorso del commercio toscano, e non paventate quello del Regno di Napoli nell’importazione degli olii, de’ grani e del bestiame tanta funesta al commercio attivo dello Stato pontificio. Di grazia signore; parlate da senno o da scherzo? E che! Siamo forse a discutere se si debba accordare al Regno di Napoli la libera introduzione de’ suoi prodotti, e niegarla alla Toscana; ovvero ragioniamo se ci convenga di perdere tutta l’utilità derivante dal riunire i due mari in grazia dei vostri protetti? Parliamo di