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bujo opificio del claustro materno 1. Dunque chi prestatuì l’armonia ch’è tra l’occhio e la luce? Colui che preparò codesta profonda commisuranza d’occhio e di luce può egli essere non veggente e giacere nella tenebra? E qual altro veggente havvi prima dell’occhio e della luce, se non il pensiero? A questo medesimo si giugne per altra via. Domando: L’occhio che fa? Vede. Dunque il vedere è effetto dell’occhio, e l’occhio è causa. Ma, da altra parte, l’occhio perchè fu fatto? A fine di vedere. Perchè ha l’umore che piglia nome dall’acqua, e quello che dal vetro, e quello che dal cristallo; e perchè hanno necessariamente questo sito, questa distanza, questa densità e questa figura? A fine di vedere. Di fatto provatevi, dice nella elegante sua forma il Bartoli, a fare una piccola variazione, e l’occhio già più non serve al suo ministerio: perocchè ne saranno scompigliate le refrazioni del lume che gli entra per lo foro della pupilla, e i raggi d’esso più non s’uniranno in punta a dipingerli su la pellicella del fondo l’immagine caopvolta dell’obbietto visibile. Dunque il fine del vedere è quello che architettò l’occhio, ed è la essenza stessa dell’occhio; chè, occhio che non vede, è un cadavere di se stesso, sepellito nella sua medesima fossa 2. Dunque poni mente che a dire l’occhio vede, cioè il vedere è effetto dell’occhio, che segue l’occhio quanto a tempo; e poi a dire che l’occhio fu fatto a fin di vedere, cioè che il

  1. Vedi il IX capitolo delle Logische Untersuchungen di Trendelenburg, ch’è bellissimo anco secondo arte, dove questo pensiero, ch’è antico, è fatto nuovo.
  2. Così il Bartoli.