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PREFAZIONE VII

margini della Gerusalemme potesse registrarsi fra i prosatori del grande secolo decimosesto.1

Fra il decimosesto e il decimosettimo secolo, la prosa di Galileo segna il compiuto svolgimento di nostra lingua e la piena balia delle sue forze; mercé la quale la corrispondenza della parola al pensiero è esatta ed efficace, senza né deficienze né ridondanze. Di là da quel punto di massima ascendenza, la lingua d’una nazione, secondo le vicende di questa, è l’adeguata espressione dell’anima nazionale, se prospere le vicende; se disavventurate, come fu dell’Italia, la lingua dapprima intristisce e poi si corrompe, per debolezza intrinseca di pensiero e mancanza di libertà alla parola, e pei sinistri influssi delle preponderanze straniere. Nella formazione dell’italiano al suo vero e legittimo essere, il primo periodo è da Dante, passando per la cultura dell’umanesimo, al Machiavelli; il secondo, dal Machiavelli, nella fioritura umanistica, a Galileo. Perché le lingue, opera innanzi tutto di popolo, poi degli scrittori, ricevono da questi l’impronta del sentimento e del pensiero; dal popolo, non dagli scrittori, le parole e le locuzioni: il frasario prezioso degli scrittori è lavoro di decadenza, indizio di deperimento delle virtù dell’idioma. Deperimento e decadenza che in Italia, accompagnando la servitù ormai irrevocata di lei, s’iniziano nel Seicento, secolo di lingua tuttavia integra ma stile artefatto e falso, preponderante la Spagna; e che poi nel Settecento travolgono la lingua, da quelle tumidezze stilistiche sfibrata, nell’alterazione essenziale che suggellò la servitù morale e politica dell’Italia francese di cent’anni fa. Dante, uomo d’affetti fantasticamente vissuti; uomo di meditazione pratica, il Machiavelli; uomo di scienza, Ga-

  1. Delle Lezioni e delle Considerazioni abbiamo riservato alcuni saggi qui appresso (pag. xiii-xxiv), appartandoli espressamente dalle pagine che sole hanno la rappresentanza essenziale del pensiero e della parola di Galileo, e ne tracciano la storia.