Recinto sacro, ove color che in grande
Stato, o in umil, cose più grandi opraro,
Potesser con onor pari in superbo
Letto giacer sul lor guancial di polve. 280Quell’umano signor, per la cui morte
Piangenti sol non si vedran que’ volti,
Che del cenere regio adulatrice
L’arte di Fidia su la tomba sculse.
Quel servo, che recò la patria in corte, 285E fu ministro e cittadino a un tempo;
Quel duce, che col nudo acciaro in pugno
L’uomo amar seppe, e che i nimici tutti,
Sè stesso, ed anco la vittoria vinse.
Quel saggio, che trovò gli utili veri, 290O di trovarli meritò: quel vate,
Che dritto ebbe di por nel suo poema
La virtù, che nel petto avea già posta.
Scarpello industre i veri lor sembianti
Ci mostreria: nella sua sculta immago 295Questi, mirate, ha la bontà, che impressa
Nel cor portò; quegli la fronte increspa,
E al comun bene ancor pensa nel marmo.
Qui nelle vene d’un eroe, che trasse
Dagli occhi sol de’ suoi nemici il pianto, 300Scorre il bellico ardir; là un Oratore
Così stende la man, così le labbra