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nell’Esposizione di Parigi 29

le impronte dei due piedi di Brama, targhette circolari da difesa e da parata, vaselli d’oro, scettri, flabelli, e cofanetti di ogni grandezza. Ricorderò le collezioni esposte dalla Commissione del Ceylan, sì ricche di gioielli a tassellature di rubini; quelle dei signori Rivet-Cornac; la mia propria collezione, che riunisce i tipi indiani più antichi e più grecizzanti; e finalmente quella di lavori moderni eseguiti a Bombay dal signor Watson, che segnano la trasformazione dei bei gioielli indiani nei brutti e pesanti gioielli indo-europei.


Nella sezione americana l’arte dell’orafo fu degnamente rappresentata dal Tiffany di Nuova York. Trovammo nelle sue vetrine gli elementi più serii di buona lavorazione, accoppiati a gusto assai squisito. Anch’egli lavora coi metodi nostri, ed ha voluto darci un saggio della sua valentìa, esponendo i fac-simili dei gioielli d’oro trovati a Cipro nel tesoro di Curion. Quelle copie sono fatte benissimo, e sono state molto ammirate. Conviene però osservare che a Nuova York sono operai italiani che hanno formata la scuola, e che fanno i lavori più notevoli.