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giano, ε commune. Il che quanto io habbia ʃaputo fare al giuditio d’altri ʃtarà; io cεrtamente l’hꞷ tentato. Ɛ bεn conoʃco εʃʃere alcuna vꞷlta trꞷppo al Fiorentino accoʃtato, come ὲ nel iε diphtonga; la quale ʃεmpre hꞷ ʃcritta per ε grande ʃecondo la pronuntia loro; come viεne, ʃiεde, piεde, ciεlo, piεno, ε ʃimili; il che ne la maggior parte d’Italia non ʃi fa; εt anco apὼ loro non ὲ piεnamente grande, εt apεrta; ma declina vεrʃo la chiuʃa; la cui mediꞷcrità ʃaperanno ꞷttimamente tenere i diligεnti. Ɛ parimente ʃi farà ne la pronuntia de lo uꞷ diphtonga; la quale non ὲ grandemente apεrta; εt io pur per l’apεrto l’hꞷ ʃcritta; ʃeguεndo, come hꞷ detto, la pronuntia loro. Ɛ così in alcun’altre cꞷʃe hꞷ fatto; perciὼ che giudico manco riprenʃibile peccato l’accoʃtarʃi trꞷppo al Toʃcano, chε ’l diʃcoʃtarsi trꞷppo da eʃʃo. Queʃto adunque, che ὲ detto fin qui, baʃterà quanto a la cognitione de le lettere nuꞷve, εt a la ragione, εt uʃo di quelle; le quali ʃe ʃaranno approbate, εt accettate da alcuni dꞷtti, harὼ molto caro; ε ʃe anco averrà, che fiεno da la moltitudine rifiutate, non mi ʃarà di grave nꞷja; ʃapεndo, che la