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rebbero stati in contrasto coi criteri adottati dal Croce nell’edizione ormai classica del 1912. E dico classica, ma vorrei dire storica. Quella edizione rispondeva infatti a precise esigenze del tempo e a meditate ragioni e propositi. Il Croce attese a quell’edizione, che rientrava nel suo programma di rivalutazione del contenuto critico dell’opera del De Sanctis, in un’epoca dei nostri studi letterari in cui il riconoscimento della originale e geniale grandezza del critico irpino trovava ancora resistenza nell’ottusitá di senso estetico e nei canoni della «scuola storica». Minuzie di erudizione erano allora trattate come gravi problemi, mentre sfuggivano quelli «altissimi» che proponeva rinnovatrice opera del De Sanctis. Quindi egli purgò generosamente il testo desanctisiano degli errori e delle sviste, quasi non volesse dare in pasto ai detrattori del De Sanctis le piccole ghiottonerie delle quali erano avidissimi. Si pensi alla sorpresa, al disappunto e al sarcasmo di quei severi cervelli o degli adolescenti licealisti di fronte, per fare un solo esempio, alla trasformazione di un cosí noto verso dantesco come «Lasciate ogni speranza...» in «Uscite di speranza...», quale si trova nell’autografo desanctisiano e nelle edizioni Morano, e che è del resto smentita a breve distanza da una citazione corretta.

Ma c’è ancora una considerazione. Il Croce venerava, come si sa, in sommo grado il De Sanctis, e lo elesse tra i pochissimi suoi ideali e supremi maestri o «auttori», per dirla con Vico: ed entrò con lui, per profonde affinitá di pensiero, in un’attiva comunione d’idee, vorrei dire in una sorta di dimestichezza, quasi con persona vivente e familiare, e ne proseguí l’opera con tale umiltá e devozione da non sapere o non voler segnare i confini tra il patrimonio di pensieri da lui ereditato e il proprio enorme accrescimento di quel patrimonio. In tale stato di spirituale vicinanza e confidenza, il Croce non si fece scrupolo di porre le mani, con la necessaria discrezione, nel testo desanctisiano per emendarlo dove l’autore fosse incorso in una palese distrazione o in un errore di memoria la cui correzione, per altro, non incidesse in alcun modo nella valutazione dell’intrinseco pensiero o dei caratteri stilistici dell’opera, e, nello stesso tempo, non esponesse l’autoie a critici oziosi e di spirito angusto. Ecco alcuni esempi:

Nell’autografo e nelle stampe Morano, fedelmente riprodotto dal Gallo {p. 8, n. 1), si legge: «...ci si sente giá uno sforzo ad allontanarsene e

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