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l’edizione Carbone; e via discorrendo. In genere, il riscontro, per quanto fastidioso, è proceduto senza gravi difficoltá, e le correzioni sono consistite quasi soltanto in parole o forme, che il De Sanctis aveva alterato nel trascriverle o che aveva sostituito, citando a mente, come soleva, i poeti italiani, a lui familiarissimi per lunga e amorosa consuetudine. Ma un grosso intoppo abbiamo trovato nel capitolo sull’Aretino, nel quale quasi tutti i brani riferiti delle lettere e delle opere ascetiche, confrontati con le edizioni dell’Aretino, ci sono apparsi cosi diversi da indurci a rivolgerci per consiglio a uno specialista di cose aretiniane, ad Alessandro Luzio. Il quale, infatti, ci ha subito informato che, giá fin dal 1888, il Fradeletto, pubblicando nell’Ateneo veneto un dramma in versi di Paulo Fambri su Pietro Aretino, notava che il De Sanctis attinse al saggio dello Chasles sull’Aretino, stampato per la prima volta nella Revue des deux mondes del 1834 (e ristampato nel volume: Études sur W. Shakespeare, Marie Stuart et l’Arétin, Paris, Amyot, 1851), e che «piú d’una volta, invece di riportare i passi originali dell’Aretino, egli preferí di ritradurli dalla traduzione francese». Indubitabile è il fatto denunciato dal Fradeletto, e da me verificato: cioè che molti dei brani dell’Aretino riferiti dal De Sanctis sono passati attraverso una liberissima (e talvolta arbitraria) traduzione francese, e hanno cangiato periodo e vocabolario; ma la conoscenza, che ho dello scrupolo col quale il De Sanctis soleva lavorare, e della personalitá morale di lui, mi ha fatto tenere impossibile che egli si fosse lasciato andare a un piccolo pasticcio letterario. E, cercando come la cosa potesse essere accaduta, ho messo in sodo che il De Sanctis, nel preparare quel capitolo, ebbe tra mano le Commedie dell’Aretino, e almeno il primo volume delle Lettere, di cui qua e lá citò testualmente qualche brano; ma che adoperò altresí l’edizione delle Opere di Pietro Aretino, ordinate ed annotate da Massimo Fabi, precedute da un discorso intorno alla vita dell’autore ed al suo secolo (Milano, Sanvito, 1863: ristampa, Milano, Brigola, 1881), nella quale il discorso, che annunzia il frontespizio, è nient’altro che traduzione del Saggio dello Chasles. Il Fabi nella sua pessima edizione (che comprende, con quel titolo di Opere, nient’altro che 1 ’Orazia, una commedia, pochi versi e alcune lettere orrendamente riprodotte), traducendo lo Chasles, non si die’ la pena di ripescare i brani originali, che il critico francese aveva tradotto, e li ritradusse dal francese. Il De Sanctis, giudicando che alcuni di quei brani, scelti dallo Chasles