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sio. Tratta la parola come non fosse suono, e si diletta di lacerare i ben costrutti orecchi italiani; e a quelli che strillano dá la baia :

Mi trovan duro?

Anch’ io lo so: pensar li fo.

Taccia ho d’oscuro?

Mi schiarirá poi libertá.

AllTtalia del Frugoni e del Metastasio dice ironicamente:

Io canterò d’amor soavemente: molle udirete il flauticello mio l’aure agitare armoniosamente

per lusingare il vostro eterno oblio.

Ciò che parevano i suoi versi e ciò che ne pare a lui, si vede da questo epigramma contro i pedanti :

Vi paion strani?

Saran toscani.

Son duri duri, disaccentati...

Non son cantati.

Stentati, oscuri, irti, intralciati...

Saran pensati.

Pure Alfieri, discepolo di sé, non era ben sicuro del fatto suo, e consultò Cesarotti, Parini, tutti quelli che andavano per la maggiore. Voleva un modello di verso tragico, e un barlume ne vedeva nell’Ossian. Ma voleva l’impossibile, e in ultimo prese il miglior partito, fece da sé. «Osa, contendi», gli diceva in un bel sonetto Parini. E lui a sudare intorno a’ suoi versi, tormentandoli in mille guise; ma

Gira, volta, ei son francesi.

Gira, volta, ei son versi di Alfieri, energicamente individuali, «carme piú aguzzo assai che tondo». Questo ei chiamava «stile tragico». La forma letteraria era vuota e sonora cantilena. Lui,