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Gli è che quella sua oscura coscienza, quel distacco tra quello che vuol fare e quello che fa, quella poesia che non è ancora musica e non è piú poesia, è non capriccio, pregiudizio o pedanteria individuale, ma la forma stessa del suo genio e del suo tempo. Perciò non è costruzione artificiosa, come la tragedia del Gravina o il poema del Trissino, ma è composizione piena di vita, che nella sua spontaneitá produce risultati superiori alle intenzioni del compositore. Ciò ch’egli vi mette con intenzione e con coscienza, non è il pregio, ma il difetto del lavoro. E intorno a questo difetto arzigogolavano lui e i critici.

Se vogliamo gustarlo, facciamo come il popolo. Non domandiamo cosa ha voluto fare, ma cosa ha fatto, e abbandoniamoci alla schiettezza delle nostre impressioni. Anche il critico, se vuol ben giudicare, dee abbandonarsi alla sua spontaneitá, come l’artista.

Prendiamo il primo suo dramma, la Didone. Volea fare una tragedia. Studiò l’argomento in Virgilio e piú in Ovidio. Ma andate a fare una tragedia con quell’uomo e con quella societá. Non capiva che a quella societá e a lui stesso mancava la stoffa da cui può uscire una tragedia. Fare una tragedia con la Buigarelli consigliera, con maestro Porpora direttore, con quel Sarro compositore, e col pubblico dell ’Angelica e degli Orti esperidi, e in presenza della sua anima elegiaca, idillica, melodica, impressionabile e superficiale, come il suo pubblico! Ne usci non una tragedia, che sarebbe stata una pedanteria nata morta, ma un capolavoro, tutto caldo della vita che era in lui e intorno a lui, e che anche oggi si legge con aviditá da un capo all’altro. La Didone virgiliana è sfumata. Le reminiscenze classiche sono soverchiate da impressioni fresche e contemporanee. Sotto nome di «Didone» qui vedi l’Armida del Tasso, messa in musica. La donna olimpica o paradisiaca cede il posto alla donna terrena, come T ha abbozzata il Tasso in questa tra le sue creature la piú popolare, dalla quale scappan fuori i piú vari e concitati moti della passione femminile, le sue smanie e le sue furie. Ma è un’Armida col comento della Bulgarelli, alla