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Qui la superficie è cosi naturalmente piana, che ti par nata a quel modo e che non possa essere altrimenti. Pigliamo ad esempio la rosa :

Questa di verde gemma s’ incappella; quella si mostra allo sportel vezzosa; l’altra, che ’n dolce foco ardea pur ora, languida cade e il bel pratello infiora.

Qui la rosa m’ ha aria di una fanciulla civettuola, che prende questa o quell’attitudine per parer vezzosa. L’«incappellarsi», lo «sportello», quell’«ardere in dolce foco», sono immagini appiccatele da immaginazione umana. È la rosa non nella sua naturalezza immediata, ma come pare all’uomo. Ci si vede il lavoro dello spirito, che l’orna e la vezzeggia, la rosa passata attraverso lo spirito e uscitane trasformata. Vedi ora nell’Ariosto, la rosa,

che in bel giardin sulla nativa spina mentre sola e sicura si riposa, né gregge né pastor se le avvicina: l’aura soave e l’alba rugiadosa, l’acqua, la terra al suo favor s’ inchina: gioveni vaghi e donne innamorate amano averne e seni e tempie ornate.

Ma non si tosto dal materno stelo rimossa viene e dal suo ceppo verde, che quanto avea dagli uomini e dal cielo favor, grazia e bellezza, tutto perde.

Questa è la storia o il romanzo della rosa. Il poeta ha aria non di descrivere, ma di raccontare; e ti pone innanzi la cosa nella sua veritá naturale, si che niente paia oltrepassato, esagerato o trasformato. L’«alba rugiadosa», il «ceppo verde», la «nativa spina», i «gioveni vaghi», le «donne innamorate», i «seni e le tempie», il «gregge e il pastore» sono tutte immagini naturali, distinte, plastiche, obbiettive, prodotte da una immaginazione impersonale, assorbita dallo spettacolo. E guarda alla movenza dell ottava, con tanta semplicitá che l’ultimo verso par ti caschi