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un tessuto di episodi e avventure legate non necessariamente con quella. L’elocuzione giudicavano artificiata e pretensiosa, la lingua impura e impropria, e non abbastanza osservata la grammatica. Facevano continui confronti con VEneide e con VIliade, e disputavano sottilmente e futilmente sul genere eroico e sulle sue regole. Sorsero confronti stranissimi tra VOrlando e la Gerusalemme, e chi facea primo l’Ariosto e chi il Tasso. La contesa, occupò per qualche tempo l’oziosa Italia, e oscurò ancora piu il senso poetico, e non fe’ dare un passo alla critica. Si rimase come in un pantano. Fra tanti opuscoli merita attenzione quello di un giovane chiamato a grandi destini : Galileo Galilei, che ne scrisse con un gran buon senso, con molto gusto e con un retto sentimento dell’arte.

L’accademia della Crusca ebbe molta parte in questa contesa. E si comprende. Mancava alla lingua del Tasso il sapore toscano, quel non so che schietto e natio, con una vivezza e una grazia che è un amore. Ma il Salviati rese pedantesca l’accusa, facendo il pedagogo e notando i punti e le virgole. L’esagerazione dell’accusa suscitò l’entusiasmo della difesa, e il libro fu piú noto e desiderato. Oggi, in tanto silenzio e indifferenza pubblica, un autore si terrebbe fortunato di svegliare tanta attenzione. Ma il Tasso ne venne malato del dispiacere, e, quasi fossero assalti personali, trattò i suoi critici come nemici. In veritá, il principal suo nemico era lui stesso. Si difendeva, ma con cattiva coscienza, perché, professando i medesimi principi critici, sentiva in fondo di aver torto. E venne nell’ infelice idea di rifare il suo poema e dare soddisfazione alla critica. Cosi usci la Gerusalemme conquistata. Purgò la lingua, ubbidí alla grammatica. Le «armi» cessarono di essere «pietose» e non divennero «pie» ; il «capitano» divenne il «cavalier sovrano» ; il «gran sepolcro» sparve del tutto; e il sublime «io ti perdòn» fu trasformato nel prosaico «perdòn io». Le correzioni sono quasi tutte infelici, di seconda mano, fatte a freddo. Non ci è piú il poeta, ci è il grammatico e il linguista, co’ suoi terribili critici dirimpetto. Corresse anche l’elocuzione, rifiutò i lenocini, cercò una forma piú grave e solenne, che ti riesce fredda e insipida.