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Di questa catastrofe non ci era una coscienza nazionale, anzi ci era una certa soddisfazione. Dopo tante calamita venivano tempi di pace e di riposo, e il nuovo dominio non parve grave a popoli stanchi di tumulti e di lotte, avvezzi a mutare padroni e pazienti di servitú, che non toccava le leggi, i costumi, le tradizioni, le superstizioni e assicurava le vite e le sostanze. Alcun moto di plebe ci fu, come a Napoli per l’Inquisizione e per la gabella de’ frutti, cagionato da poca abilitá ne’ governanti anziché da elevatezza di sentimenti ne’ sudditi. Quanto alle classi colte, ritirate da gran tempo nella vita privata, negli ozi letterari e ne’ piaceri della cittá e della villa, niente parve loro mutato in Italia, perché niente era mutato nella lor vita. Contenti anche i letterati, a’ quali non mancava il pane delle corti e l’ozio delle accademie. Questa Italia spagnuola-papale aveva anche un aspetto piú decente. A forza di gridare che il male era nella licenza de’ costumi, massime fra gli ecclesiastici, il concilio di Trento si diede a curare il male, riformando i costumi e la disciplina. «Si non caste, tamen caute.» Al cinismo successe T ipocrisia. Il vizio si nascose, si tolse lo scandalo. E non fu piú tollerata tutta quella letteratura oscena e satirica : Niccolò Franco, l’allievo e poi il rivale di Pietro Aretino, predicatosi da sé «flagello del ‘ flagello de’ principi ’», finf impiccato per un suo epigramma latino. Il riso del Boccaccio mori sulle labbra di Pietro Aretino. La censura preventiva, stabilita giá dal conciho lateranense, fu applicata con severitá : fu costituita la congregazione dell’ Indice. Sorsero nuovi ordini religiosi per la riforma de’costumi e l’educazione della gioventú: i teatini, i somaschi, i barnabiti, i padri dell’oratorio, i gesuiti. Si composero poesie sacre, che si cantavano nelle chiese e nelle processioni. San Filippo Neri introdusse gli oratòri, drammi e commedie sacre. L’istruzione cadde in mano a’ preti e a’ frati. Spirava un odore di santitá!

Questa fu la riforma fatta dal concilio di Trento e che il Sarpi chiama «difformazione». Il tema prediletto de’poeti italiani e de’ protestanti erano gli scandali della corte romana. Roma, la «meretrice» di Dante, la «Babilonia» del Petrarca, era stata