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dipendente dallo Stato e accomodata a’ fini e agl’interessi della nazione.

Altra è pure la base morale. Il fine etico del medio evo è la santificazione dell’anima, e il mezzo è la mortificazione della carne. Il Machiavelli, se biasima la licenza de’ costumi invalsa al suo tempo, non è meno severo verso l’educazione ascetica. La sua dea non è Rachele, ma è Lia : non è la vita contemplativa, ma la vita attiva. E perciò la virtú è per lui la vita attiva, vita di azione e in servigio della patria. I suoi santi sono piú simili agli eroi dell’antica Roma che agl’ iscritti nel calendario romano. O, per dir meglio, il nuovo tipo morale non è il santo, ma è il patriota.

E si rinnova pure la base intellettuale. Secondo il gergo di allora, il Machiavelli non combatte la veritá della fede, ma la lascia da parte, non se ne occupa, e, quando vi s’incontra, ne parla con un’aria equivoca di rispetto. Risecata dal suo mondo ogni causa soprannaturale e provvidenziale, vi mette a base l’immutabilitá e l’immortalitá del pensiero o dello spirito umano, fattore della storia. Questo è giá tutta una rivoluzione. È il famoso «cogito», nel quale s’inizia la scienza moderna. È l’uomo emancipato dal mondo soprannaturale e sopraumano, che, come lo Stato, proclama la sua autonomia e la sua indipendenza e prende possesso del mondo.

E si rinnova il metodo. Il Machiavelli non riconosce veritá a priori e principi astratti, e non riconosce autoritá di nessuno come criterio del vero. Di teologia e di filosofia e di etica fa stima uguale: mondi d’immaginazione, fuori della realtá. La veritá è la cosa effettuale; e perciò il modo di cercarla è l’esperienza accompagnata con l’osservazione, lo studio intelligente de’ fatti. Tutto il formolario scolastico va giú. A quel vuoto meccanismo fondato sulle combinazioni astratte dell’ intelletto, incardinate nella pretesa esistenza degli universali, sostituisce la forma ordinaria del parlare diritta e naturale. Le proposizioni generali, le «maggiori» del sillogismo, sono capovolte, e compariscono in ultimo come risultati di una esperienza illuminata dalla riflessione. In luogo del sillogismo hai la «serie», cioè a