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326 | storia della letteratura italiana |
coppia gentil d’illustre sangue e chiaro, vivi esempli di senno e di valore: alme che prima in ciel si vagheggiâro, e poi quaggiú le ricongiunse Amore: e diêr tal frutto, che non vede il sole piú nobil pianta e piú leggiadra prole. |
Sono ottave mediocrissime e poco limate, ma dove giá trovi facilitá di verso e di rima e molta chiarezza. Un’ottava, dove descrive Anna che canta, rivela nell’evidenza e nel brio del colorito una certa genialitá:
La voce, pria nel molle petto accolta, con maestra ragion spigne o sospende; ora in rapide fughe e in groppi avvolta, veiocissimamente in alto ascende; ora in placido corso e piú disciolta, soavissimamente in giú discende; i momenti misura, annoda e parte, e talor sembra fallo, ed è tutt’arte. |
Qui lascia le solite generalitá, entra nel vivo de’ particolari, e vi mostra la forza di chi sa giá tutto dire e nel modo piú felice. Gli epitalami non sono in fondo che idilli, col solito macchinismo: Amore, Venere, Marte, Diana, Minerva, Vulcano. Né altro sono le prime sue azioni teatrali, rappresentate in Napoli, come la Galatea, l’Endimione, gli Orti esperidi, l’Angelica. Diamo un’occhiata all’Angelica. Di rincontro a’ protagonisti, Angelica e Orlando, stanno Licori e Tirsi. C’è il solito antagonismo tra la cittá e la campagna, la scaltrezza di Angelica e l’ingenuitá di Licori: onde nasce un intrighetto che riesce nel piú schietto comico. Le furie di Orlando non possono turbare la pace idillica diffusa su tutto il quadro, e lo stesso Orlando finisce idillicamente:
Torna, torna ad amarmi e ti perdono. Aurette leggiere, che intorno volate, tacete, fermate, ché torna il mio ben. |