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audace nelle etimologie, acuto nelle interpretazioni e ne’ confronti, sicurissimo ne’ suoi procedimenti e nelle sue conclusioni, e con l’aria di chi scopre ad ogni tratto nuovi mondi, tenendo sotto i piedi le tradizioni e le storie volgari. Cosi è nata questa prima storia dell’umanitá, una specie di Divina commedia, che dalla «gran selva della terra», per l’inferno del puro sensibile, si va realizzando tra via sino all’etá umana della riflessione o della filosofia; irta di forme, di miti, di etimologie, di simboli, di allegorie, e non meno grande che quella; pregna di presentimenti, di divinazioni, d’idee scientifiche, di veri e di scoperte: opera di una fantasia concitata dall’ingegno filosofico e fortificata dall’erudizione, che ha tutta l’aria di una grande rivelazione.

È la Divina commedia della scienza, la vasta sintesi, che riassume il passato e apre l’avvenire, tutta ancora ingombra di vecchi frantumi, dominati da uno spirito nuovo. Platonico e cristiano, continuatore di Ficino e di Pico, uno di spirito con Torquato Tasso, Vico non comprende la Riforma e non i tempi nuovi, e vuol concordare la sua filosofia con la teologia, e la sua erudizione con la filosofia, costruire un’armonia sociale come un’armonia provvidenziale. La sua metafisica ha sotto i piè il globo, e gli occhi estatici in su verso l’occhio della provvidenza, onde le piovono i raggi delle divine idee. Vuole la ragione, ma vuole anche l’autoritá, e non certo degli «addottrinati», ma del genere umano; vuole la fede e la tradizione; anzi fede e tradizione non sono che essa medesima la ragione, «sapienza volgare». Tale era l’uomo formato nella biblioteca di un convento; ma, entrando nel mondo de’ viventi, lo spirito nuovo l’incalza, e, combattendo Cartesio, subisce l’influenza di Cartesio. Era impossibile che un uomo d’ingegno non dovesse sentirsi trasformare al contatto dell’ingegno. Tutto dietro a costruir la sua Scienza, gli si affaccia il «de omnibus dubitandum» ed il «cogito»:


... in meditando i principi di questa Scienza, dobbiamo... ridurci in uno stato di una somma ignoranza di tutta l’umana e divina erudizione, come se per questa ricerca non vi fussero mai stati per noi né filosofi né filologi; e chi si vuol profittare, egli in tale stato