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18 storia della letteratura italiana


mitologia e come il mondo religioso, non era fra noi altro che pura leggenda o romanzo; un mondo d’immaginazione, che interessava non per il suo ideale, ma per la novitá, la varietá e la straordinarietá degli accidenti. Meno il suo significato era serio, e piú il suo contenuto era fantastico e licenzioso, cancellati tutt’ i limiti di spazio e di tempo e di verisimiglianza. Il cantastorie non si proponeva altro scopo che di stuzzicare la curiositá e appagare l’immaginazione, intessendo sul vecchio fondo tradizionale cavalleresco le favole piu assurde, e intrigandole fra loro in modo da tener sospesa e curiosa l’attenzione. Indi quelle forme di narrare bizzarre, interrompendo, intramettendo, ripigliando co’ passaggi piú bruschi, e portando l’incoerenza fino nell’esterna orditura del racconto.

Giá cominciava a spuntare una scienza dell’uomo e della natura. L’invenzione della stampa, la scoperta di Copernico, i viaggi di Colombo e di Amerigo Vespucci, gli scritti del Pomponazzi, i Discorsi del Machiavelli, la Riforma, la costruzione solida di grandi Stati, come la Spagna, la Francia, l’Inghilterra, erano fatti colossali, che rinnovavano la faccia del mondo. Ma le conseguenze non erano ancora ben chiare; e il mondo moderno, il mondo dell’uomo e della natura, o, per dirlo in una parola, la scienza, era ancora come un sole inviluppato di vapori, che non dánno via a’ suoi raggi. E i vapori erano il mondo popolare dell’immaginazione, che suppliva alla scienza, riempiendo la terra di miracoli. Ogni specie di soprannaturale era accumulata e ammessa, il miracolo de’ cristiani, il prodigio de’ pagani, gl’ incanti de’ maghi e delle fate, le imposture degli astrologi. L’uomo stesso, in mezzo a questa natura fatata e incantata, era un attore degno di quel teatro : essere ancora primitivo, credulo, ignorante, abbandonato alle sue inclinazioni e passioni, determinato all’azione da súbiti movimenti anzi che da posata riflessione, e che non si ripiega mai in sé, non si studia, non si conosce, è tutto superficie, tutto fuori nel tumulto e nel calore della vita. Perciò è piuttosto anch’esso una forza naturale che un essere consapevole, una forza tirata e avvolta nel vario gioco degli avvenimenti, povera di carattere e di autonomia.