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un’ultima forma della decadenza; anzi abbondano i Pindari e gli Anacreonti, moltiplicano i poeti in tutt’i canti d’Italia, e co’ poeti le accademie e si tengono primi in tutta Europa, della quale ignorano la coltura.

Possiamo ora spiegarci come l’Arcadia acquistò l’importanza di un grande avvenimento, si che per parecchie decine di anni occupò l’attenzione pubblica. Si videro uomini dottissimi e gravissimi fanciulleggiare tra quei pastori e pastorelle, e dettar le leggi dell’accademia con una solennitá come fossero le leggi delle Dodici tavole. Parea che a restaurare la poesia e il buon gusto bastasse l’osservanza di alcune regole, e moltiplicarono i medici quando il malato era morto. Gli arcadi, rimasti proverbiali come gente dotta e insieme frivola, per correggere l’eroico si gettarono nel pastorale, come se trasportando la vita ne’ campi e tra’ pastori, trovassero quella naturalezza e semplicitá che è non nella materia, ma nell’anima dello scrittore. Furono aridi, insipidi, leziosi, affettati, falsi.

Il re del secolo, il gran maestro della parola, fu il cavalier Marino, onorato, festeggiato, pensionato, tenuto principe de’ poeti antichi e moderni, e non da plebe, ma da’ piú chiari uomini di quel tempo. Dicesi che fu il corruttore del suo secolo. Piuttosto è lecito di dire che il secolo corruppe lui o, per dire con piú esattezza, non ci fu corrotti né corruttori. Il secolo era quello, e non potea esser altro: era una conseguenza necessaria di non meno necessarie premesse. E Marino fu l’ingegno del secolo, il secolo stesso nella maggior forza e chiarezza della sua espressione. Aveva immaginazione copiosa e veloce, molta facilitá di concezione, orecchio musicale, ricchezza inesauribile di modi e di forme, nessuna profonditá e serietá di concetto e di sentimento, nessuna fede in un contenuto qualsiasi. Il problema per lui, come pe’ contemporanei, non era il che, ma il come. Trovava un repertorio esausto, giá lisciato e profumato dal Tasso e dal Guarini, i due grandi poeti della sua giovinezza. Ed egli lisciò e profumò ancora piú, adoperandovi la feconditá della sua immaginazione e la facilitá della sua vena. La moda era alle idee religiose e morali, e il Murtola scriveva il Mondo