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144 | storia della letteratura italiana |
odio, amore, paura, speranza, bellezza, si fattamente raccolsi, che né parole né concetto non usciva di me che le novelle e i sonetti loro non ne fossero esempio... Era d’opinione che la nostra arte oratoria e poetica altro non fosse che imitar loro ambidue, prosa e versi a lor modo scrivendo.
Adunque la lingua, la «testura delle parole», i loro «numeri» e la loro «concinnitá», frasi del tempo, si studiavano nel Boccaccio e nel Petrarca, e se ne cavarono grammatiche, dizionari e repertori di frasi e di concetti. Cosi insegnava Trifone Gabriele, detto «Socrate», e cosi praticava Speron Speroni, riuscito con questa scuola a scrivere in quel gergo artificiale e convenzionale che si è visto. Cosi la lingua, fatta classica e pura, rimase immobile e cristallizzata come lingua morta, e il suo studio divenne difficilissimo. Si voleva non solo che la parola fosse pura ma che fosse «numerosa» ed elegante. Si formò una scienza de’ numeri non pure in verso, ma in prosa. Il periodo divenne un artificio complicatissimo. Eccone un saggio nello Speroni:
...come la composizion della prosa è ordinanza delle voci delle parole, cosi i numeri sono ordini delle sillabe loro, con li quali, dilettando gli orecchi, la buona arte oratoria incomincia, continua e finisce l’orazione; perciocché ogni clausula, come ha principio, cosi ha mezzo e fine: nel principio si va movendo ed ascende; nel mezzo, quasi stanca della fatica, stando in pié, si posa alquanto; poi discende e vola al fine per acquetarsi... La prosa alcuna volta ben compone le parole non belle, e altra volta le belle malamente va componendo; e può occorrere che, siccome nella musica bene e spesso le buone voci discordano e le non buone o per usanza o per arte sono tra loro concordi, cosi i pari, i simili ed i contrari, cose tutte per lor natura ben risonanti, qualche volta con voce aspra e difforme, qualche volta scioccamente ed a bocca aperta, va esplicando la orazione. Finalmente molte fiate intra viene che la prosa perfettamente composta, quasi fiume del proprio corso appagandosi, non si cura, non che di giungere al fine, ma di posarsi per lo cammino, e va sempre, e, se’ l fiato non le mancasse, continuamente tutta sua vita camminarebbe: però a’ numeri ricorriamo, li quali, attraversando la strada, piacevolmente, con lusinghe e con vezzi, a rinfrescarsi ed