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xvii - torquato tasso 143


divenne un cadavere, notomizzato, studiato, riprodotto artificialmente; e gl’italiani si avvezzarono a imparare e scrivere la loro lingua come si fa il latino o il greco. Il Petrarca e il Boccaccio diventarono modelli cosi inviolabili come la Bibbia, e il «non si può» venne in moda anche per le parole, tanto che mancò pazienza fino al gesuita Bartoli. A mostrare in qual modo studiassero i nostri letterati, cito ad esempio un uomo coltissimo e d’ingegno non ordinario, Speron Speroni:


Io veramente fin da’ primi anni, desiderando oltramodo di parlare e di scrivere volgarmente i concetti del mio intelletto, e questo non tanto per dovere essere inteso, il che è cosa da ogni volgare, quanto a fine che ’l nome mio con qualche laude tra i famosi si numerasse, ogni altra cura posposta, alla lezion del Petrarca e delle Cento novelle con sommo studio mi rivolgei: nella qual lezione con poco frutto non pochi mesi per me medesimo esercitatomi, ultimamente, da Dio inspirato, ricorsi al nostro messer Trifon Gabriele; dal quale benignamente aiutato, vidi ed intesi perfettamente quei due autori, li quali, non sapendo che notar mi dovessi, avea trascorso piú volte.


Questo è un solo periodo! e che affanno! e domando se vi par lingua viva. Ecco ora in iscena Trifone, uno de’ grammatici e critici piu riputati e chiamato il «Socrate» di quella etá:


Questo nostro buon padre primieramente mi fece noti i vocaboli; poi mi die’ regole da conoscere le declinazioni e coniugazioni de’ nomi e verbi toscani; finalmente gli articoli, i pronomi, i participi, gli ad verbi e l’altre parti d’orazione distintamente mi dichiarò: tanto che, accolte in uno le cosette imparate, io ne composi una mia grammatica, con la quale, scrivendo, io mi reggeva... Poiché a me parve d’esser fatto un solenne gramatico... io mi diedi al far versi. Allora pieno tutto di numeri, di sentenzie e di parole petrarchesche e boccacciane, per certi anni fei cose a’ miei amici meravigliose; poscia, parendomi che la mia vena s’incominciasse a seccare (perciocché alcune volte mi mancava i vocaboli, e, non avendo che dire, in diversi sonetti uno istesso concetto m’era venuto ritratto), a quello ricorsi che fa il mondo oggidí, e con grandissima diligenzia fei un rimario o vocabolario volgare, nel quale per alfabeto ogni parola, che giá usarono questi due, distintamente riposi: oltra di ciò, in un altro libro i modi loro del descriver le cose, giorno, notte, ira, pace,