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XVI
[Il mondo guicciardiniano dell’egoismo: espressione estrema, l’Aretino — Sua vita e carattere — L’audacia e il successo — I suoi appetiti e le forze per soddisfarli — La letteratura come speculazione industriale: libri osceni e vite di santi — Non malvagio per natura, ma per bisogno e calcolo: sue qualitá buone — Sua importanza come scrittore — Il meccanizzamento della cultura, della forma letteraria e della lingua: la pedanteria — L’Aretino contro l’ipocrisia e la pedanteria: sua indipendenza critica — La critica delle arti figurative: il sentimento della natura pittorica — Il suo scrivere parlato — E il suo scrivere prezioso, pur solcato da lampi geniali — I suoi imitatori — Le commedie del Cinquecento (G. M. Cecchi) e quelle dell’Aretino — Si beffano di ogni regola — Rappresentazioni del mondo furfantesco.]
Il mondo teologico-etico del medio evo tocca l’estremo della sua contraddizione in questo mondo positivo del Guicciardini, un mondo puramente umano e naturale, chiuso nell’egoismo individuale, superiore a tutt’i vincoli morali che tengono insieme gli uomini. Il ritratto vivente di questo mondo, nella sua forma piú cinica e piú depravata, è Pietro Aretino. L’immagine del secolo ha in lui l’ultima pennellata.
Pietro nacque nel 1492, in uno spedale di Arezzo, da Tita, la bella cortigiana, la modella scolpita e dipinta da parecchi artisti. Senza nome, senza famiglia, senza amici e protettori, senza istruzione. «Tanto andai a la scola quanto intesi la santa croce: componendo ladramente, merito scusa, e non quegli che lambiccano l’arte dei greci e dei latini.» A tredici anni rubò la madre e fuggí a Perugia, e si allogò presso un legatore di libri. A diciannove anni, attirato dalla fama della corte di Roma e che tutti vi si facevano ricchi, vi giunse che non aveva un quattrino,
F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - ii. | 8 |