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xiii - l’«orlando furioso» 5

Mori il padre ch’egli aveva soli ventott’anni, e lo lasciò tra sorelle e piccoli fratelli capo della casa : cosi dovè mutare Omero nel libro de’ conti:
                                    Mi more il padre, e da Maria il pensiero
dietro a Marta bisogna ch’io rivolga,
ch’io muti in squarci ed in vacchette Omero.
     
Né potè avere piú agio e modo d’intendere «nella propria lingua dell’autore» ciò che Ulisse sofferse a Troia e poi nel lungo errore, e ciò che scrisse Euripide, Pindaro e gli altri, a cui le muse argive «donar si dolci lingue e si faconde»; perché, venuto in corte, fu mandato qua e lá, oppresso dal giogo del

cardinale d’ Este:

                                         E di poeta cavallar mi feo:
vedi se per le balze e per le fosse
io potevo imparar greco o caldeo.
     

Era questi studi e imitazioni usci la Cassaria, una commedia in prosa, scritta con tutte le regole della commedia plautina, e che parve un miracolo a Ferrara, appunto perché vedevano in italiano quello che erano usi ad ammirare in latino. Ai misteri e alle farse succedea la commedia e la tragedia, con tutte le regole dell’arte poetica e con le forme di Plauto e Terenzio. E non solo s’imitava quel meccanismo, ma si riproducea lo stesso mondo comico: servi, parasiti, cortigiane, padri avari e figli scapestrati. Il giovane autore, a quel modo che trasforma le sue contadine in Filli e Licori, vive tutto in quel mondo di Plauto, e nel suo lavoro d’imitazione perde di vista la societá in mezzo a cui si trova. La sua commedia è una ricostruzione, non è una creazione; e, intento al meccanismo, si lascia fuggire le piú belle situazioni e contrasti comici. Nel Bibbiena e nel Lasca ci è una certa vita che viene dal Decamerone, non so che licenzioso e buffonesco, conforme allo spirito comico, quale s’era sviluppato a Firenze e si sentiva nel Lasca e nel Berni, segretario del Bibbiena. Ma l’Ariosto vive fuori di questo ambiente e in un mondo tutto di erudizione, e, quando vuol