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L’universo muore con Beatrice:

Ed esser mi parea non so in qual loco, e veder donne andar per via disciolte, qual lagrimando e qual traendo guai, che di tristizia saetta van foco.

Poi mi parve vedere appoco appoco

turbar lo sole ed apparir la stella,

e pianger egli ed ella;

cader gli augelli volando per l’áre,

e la terra tremare;

ed uom m’apparve scolorito e fioco,

dicendomi: — Che fai? non sai novella?

Morta è la donna tua ch’era si bella.

«Si bella»! Questa è l’immagine. Gli basta chiamarla bella, chiamarla Beatrice. Incontra per via peregrini, essi soli indifferenti in tanto dolore :

Ché non piangete, quando voi passate per lo suo mezzo la cittá dolente?...

Se voi restate per volere udire, certo lo core de’ sospir mi dice che lagrimando n’uscirete pui.

Ella ha perduta la sua Beatrice; e le parole, ch’uom di lei può dire, hanno virtú di far piangere altrui.

La vita e la morte di Beatrice non è in lei, ma negli altri, •in quello che fa sentire. L’ immagine è immediatamente trasformata in sentimento. E questa immagine spiritualizzata è quella mezza realtá che si chiama il fantasma, esistente piú nella immaginazione del lettore che nella espressione del poeta. Ciascuno si fa una Beatrice a sua maniera e secondo le forze del suo spirito. Siamo nel regno musicale dell’ indefinito. Beatrice è un rève, un sogno, una visione. La stessa sua morte è un sogno o, come dice Dante, una fantasia, accompagnata da particolari patetici e drammatici, perché il poeta è vittima de’ suoi