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402 | storia della letteratura italiana |
Può far la nostra donna ch’ogni sera io abbia a stare a mio marcio dispetto infino alle undici ore andarne a letto, a petizion di chi giuoca a primiera? Direbbon poi costoro: — Ei si dispera, e a’ maggiori di sé non ha rispetto. — Corpo di..., io l’ho pur detto: hassi a vegliar la notte intera intera? |
La morte di papa Leone gitta il terrore tra’ letterati, che vedono mancare la mangiatoia; e piú quando il successore è Adriano sesto fiammingo, «oltramontano», «avaro», «contadino», e non so quanti altri epiteti gli appicca nella sua indignazione il Berni:
Pur, quando io sento dire «oltramontano», vi fo sopra una chiosa col verzino: «idest nimico del sangue italiano». |
Era in fondo un brav’uomo, senza fiele, un buon compagnone col quale si passava piacevolmente un quarto d’ora, anima tranquilla e da canonico, vuota di ambizioni e di cupidigie e di passioni, e anche d’idee. Sapea di greco e piú di latino, e fece anche lui i suoi bravi versi latini e i suoi sonetti petrarcheschi, come portava il tempo. Scrivea il piú spesso «a sfogamento di cervello, il maggior suo passatempo». Non cercava l’eleganza per fuggire fatica, e gli veniva «il sudor della morte» quando si dovea «metter la giornea» e rispondere «per le consonanze o per le rime» a lettere eleganti. Lo scrivere stesso gli era fatica. «A vivere avemo sino alla morte — dice al Bini, — a dispetto di chi non vuole, e il vantaggio è vivere allegramente, come conforto a far voi, attendendo a frequentar quelli banchetti che si fanno per Roma, e scrivendo soprattutto il manco che potete; quia haec est victoria quae vincit mundum». Si qualifica «asciutto di parole, poco cerimonioso e intrigato in servitú»: ottime scuse alla sua pigrizia. E quando lo assediano e lo