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ix - il «decamerone» | 285 |
che invano l’autore cerca incalorire con le figure rettoriche, in cui è maestro. Spesseggiano le interrogazioni, le esclamazioni, le personificazioni, le apostrofi; il sentimento si sviluppa dalle cose e si pone per se stesso in una forma ampollosa e pretensiosa. Il prode Lelio è ucciso sul campo di battaglia, e il poeta vi recita sii questa magnifica tirata rettorica:
Oh misera Fortuna, quanto sono i tuoi movimenti vari e fallaci nelle mondane cose!... Ove sono i molti tesori che tu con ampia mano gli avevi dati? ove i molti amici? ove la gran famiglia? Tu gli hai con subito giramento tolte queste cose, e il suo corpo senza sepoltura morto giace negli strani campi. Almeno gli avessi tu concedute le romane lagrime, e le tremanti dita del vecchio padre gli avessero chiusi i morienti occhi, l’ultimo onore della sepoltura gli avesse potuto fare!
Deh! quanto Amore si portò villanamente tra voi, avendovi tenuti insieme colla sua virtú tanto tempo caramente congiunti; e ora, nell’ultimo partimento, non consenti che voi v’avessi insieme baciati o almeno salutati.