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è un barbaro, un eroico barbaro, sdegnoso, vendicativo, appassionatissimo: libera ed energica natura. Al contrario la vita negli altri due mondi non ha riscontro nella realtá, ed è di pura fantasia, cavata dall’astratto del dovere e del concetto, e ispirata dagli ardori estatici della vita ascetica e contemplativa.

Essendo l’inferno il regno del male o della materia in se stessa e ribelle allo spirito, la legge che regola la sua storia o il suo sviluppo è un successivo oscurarsi dello spirito, insino alla sua estinzione, alla materia assoluta.

Il suo punto di partenza è l’indifferente, l’anima priva di personalitá e di volontá, il negligente. Il carattere qui è il non averne alcuno. In questo ventre del genere umano non è peccato né virtú, perché non è forza operante: qui non è ancora inferno, ma il preinferno, il preludio di esso. Ma se, moralmente considerati, i negligenti tengono il piú basso grado nella scala de’ dannati e paiono a Dante «sciaurati» piú che peccatori, il concetto morale rimane estrinseco alla poesia e non serve che a classificare i dannati. Altri sono i criteri del poeta. La morale pone i negligenti sul limitare dell’inferno; la poesia li pone piú giú dell’ultimo scellerato, che Dante stima piú di questi mezzi uomini. E la poesia è d’accordo con la tempra energica del gran poeta e de’ suoi contemporanei. A quegli uomini vestiti di ferro anima e corpo, questi esseri passivi e insignificanti doveano ispirare il piú alto dispregio. E il dispregio fa trovare a Dante frasi roventi. Sono uomini che «vissero senza infamia e senza lodo», anzi «mai non fu̇r vivi». La loro pena è di essere stimolati continuamente, essi che non sentirono stimolo alcuno nel mondo. La pena è minima; eppure tale è la loro fiacchezza morale, sono cosí vinti nel «duolo», che lacrimano e gettano le alte strida, che fanno tumultuare l’aria

                                         come la rena quando ’l turbo spira.      


A’ loro piedi è la loro immagine, il verme. Turba infinita, senza nome: appena accenna ad un solo, e senza nominarlo:
                                                                                           colui
che fece per viltate il gran rifiuto.