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94 storia della letteratura italiana

ché, s’io voglio vegliar, e’ vòl dormire:
ogni po’ di disagio lo fa mesto,
e comincia di fatto a impalidire.
La Sensualitá, che vede questo,
mi dice: — Tu vorrai volar senz’ale,
e dar un buon guadagno allo spedale. —


E la Sensualitá, cosí invocata, le dice beffando:

     Tu vorresti ir al ciel cosí vestita:
io ti vo’ dire il ver senza rispetto.
A me par che tu ti sie smarrita:
faresti ben a picchiarti un po’ il petto.
Non vorresti patir caldo né gielo,
e calzata e vestita andar in cielo.

Ma ecco la Ragione dire all’anima:

     Deh dimmi, anima mia, c’hai tu avuto:
io m’ero appunto appunto addormentata.

E, saputo il fatto, dice della sua nemica:

     Ell’è una bestiaccia sí insolente;
bisogna non lasciar punto la briglia:
battila spesso senza discrezione,
e non gli mostrar mai compassione.

— Ma che dovevo fare? — dice l’anima:

     Dovevi tutt’aprirti nelle braccia,
a pigliar una mazza tanto grossa,
che rompessi la carne e tutte l’ossa.

La Sensualitá non se ne spaventa, e dopo uno scambio di villanie aggiunge:

Questa Ragion è sol ipocrisia,
e non sa appena dir l’avemaria.
     E m’incresce di te c’hai questo sprone:
bisognerebbe che tu tel cavassi.
Deh! fa’ a mio modo: piglia un buon mattone,