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58 | saggio critico sul petrarca |
come nelle nature forti: conoscenti e sconosciuti, la terra, l’aria, il mare, il sole, tutto vi prende parte, di tutto egli fa un piedistallo a Beatrice; ma non vi stagna, non giugne fino alla tenerezza e al languore. Dipinge a gran tratti, lasciando grandi ombre come in un tempio gotico, e porgendoti innanzi qualche cosa di colossale che ti percota; in quel dolore senti non so che di scuro e di grande, come la disperazione. Irresistibile è la commozione, quando a immagini gigantesche sopravvengono immagini tenere; quando, per esempio, nella costernazione di tutto l’universo, come invaso da presentimenti di prossime rovine, si sente con fioca voce il funebre annunzio:
Ed uom m’apparve scolorito e fioco,
Dicendomi: che fai? non sai novella?
Morta è la donna tua, ch’era si bella.
L’universo muore! E non si piange; si rimane immobile. Beatrice è morta: e scorrono le lagrime. Ma è un lampo; subito, con un solo impeto, il poeta risorge dal profondo del dolore, bruscamente, senza i passaggi e le gradazioni artificiose di un’arte piú raffinata: ne risorge per tuffarvisi un’altra volta, effondendo la ricca anima ne’ piú diversi movimenti e sentimenti.1
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Donna pietosa e di novella etate.
Adorna assai di gentilezze umane,
Era lá, ov’io chiamava spesso Morte.
Veggendo gli occhi miei pien di pietate.
Ed ascoltando le parole vane.
Si mosse’con paura a pianger forte:
Ed altre donne che si furo accorte
Di me per quella che meco piangia,
Fecer lei partir via,
Ed appressarsi per farmi sentire.
Qual dicea: Non dormire;
E qual dicea: Perché sí ti scontorte?
Allor lasciai la nova fantasia.
Chiamando il nome della donna mia.