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vii. situazioni petrarchesche | i43 |
quasi del suo ingegno, lavoro di giovinezza. Non c’è ancora esperienza della vita, né senso politico; ma c’è la giovinezza con le sue nobili illusioni e le fresche riflessioni. Le idee, che appa-
Ben provvide Natura al nostro stato Quando dell’Alpi schermo Pose fra noi e la tedesca rabbia; Ma ’l desir cieco e ’ncontra ’l suo ben fermo S’è poi tanto ingegnato, Ch’ai corpo sano ha procurato scabbia. Or dentro ad una gabbia Fere selvagge e mansuete gregge S’annidan si che sempre il miglior geme. Ed è questo del seme, Per piú dolor, del popol senza legge Al qual, come si legge, Mario aperse si ’l fianco. Che memoria dell’opra anco non langue, Quando, assetato e stanco. Non piú bevve del fiume acqua, che sangue. Cesare taccio, che per ogni piaggia Fece l’erbe sanguigne Di lor vene, ove ’l nostro ferro mise. Or par non so per che stelle maligne, Che ’l Cielo in odio n’aggia: Vostra mercé, cui tanto si commise Vostre voglie divise Guastan del mondo la piú bella parte. Qual colpa, qual giudicio o qual destino. Fastidire il vicino Povero; e le fortune afflitte e sparte Perseguire; e ’n disparte Cercar gente, e gradire Che sparga ’l sangue e venda l’alma a prezzo? Io parlo per ver dire, Non per odio d’altrui Dé per disprezzo. Né v’accorgerete ancor, per tante prove. Del bavarico inganno. Che, alzando ’l dito, con la morte scherza? Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno. Ma ’l vostro sangue piove Piú largamente; ch’altr’ira vi sferza. Dalla mattina a terza Di voi pensate, e vederete come Tien caro altrui chi tien sé cosí vile. Latin sangue gentile. Sgombra da te queste dannose some; Non far idolo un nome |