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vii. situazioni petrarchesche i4i


il tenero è temperato dal gentile, ma non senza un po’ d’amplificazione rettorica. Dante disse di Roma:

                                    Vedova e sola, e di’ e notte chiama.      
Questo verso cosí semplice e tanto pieno di lacrime fa piú effetto che tutta la descrizione petrarchesca. Succedono gli oppressori, gli Orsini, i Conti, i Caetani, contro i quali vuole eccitar lo sdegno di Cola; ma questo sdegno non lo sente lui, che s’avvolge nell’inviluppo d’un linguaggio metaforico freddo e stentato. L’ultima stanza sarebbe affatto insignificante, senza l’ingegnosa conclusione:
                                    Quanta gloria ti fia
Dir: gli altri l’aitar giovine e forte;
Questi in vecchiezza la scampò da morte!
     
La chiusa è la piú bella cosa di tutta la canzone, trasportandoti il poeta con la scelta de’ particolari sul teatro dell’azione in Roma e dipingendo con tratti sicuri sé e Cola:
                                         Sopra ’l monte Tarpeo, canzon, vedrai
Un cavalier ch’Italia tutta onora,
Pensoso piú d’altrui che di se stesso.
Digli: un che non ti vide ancor da presso,
Se non come per fama uom s’innamora.
Dice che Roma ogni ora
Con gli occhi di dolor bagnati e molli,
Ti chier mercé da tutti sette i colli.
     
Si può dire che questi pochi versi sieno il microcosmo della canzone, tutto quel mondo riflesso in piccolo, ma che, ridotto cosí in compendio, ti si affaccia con proporzioni ingrandite.

Non sarò tenuto troppo severo, se dirò che questa canzone è inferiore all’argomento. Scritta con molta pretensione nella maturitá degli anni, ci si vede grand’arte, tropp’arte. C’è un disegno preconcepito, una logica distribuzione delle parti, scelta accurata d’immagini e di frasi, molto artificio di verso, nell’in-