Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/138

i32 saggio critico sul petrarca


nel suo accogliere in sé tutte queste gradazioni, ed è ciò che si chiama la contraddizione del sentimento petrarchesco, il vivo della sua poesia. Talora il godimento ha un’aria meramente intellettuale; ma nel calore dell’espressione sentite l’involontario tremito della passione. Talora il poeta, come attirato da un fato superiore, precipita fino nel senso; ma non mai si scompagna da lui un cotal ritegno, una pudicizia d’immaginazione, che non lo lascia in balia d’impressioni prettamente sensibili.

Dapprima quegli occhi sono quasi uno spettacolo estetico, bello da sé e come staccato da Laura, puro di tutt’i sentimenti che l’amata desta in lui, una bellezza creata da Dio, che conduce il riguardante dalla fattura al fattore. Ed il poeta è talmente innalzato in questa via dalla bellezza terrena alle bellezze celesti, che viene un punto che vorrebbe abbandonare anche la vista di quegli occhi per fruire la vista del cielo:

                                         Aprasi la prigion ov’io son chiuso,
E che ’l cammino a tal vista mi serra.
     
Le altre idee si schierano intorno a questa. Il dolce lume di quegli occhi gli mostra la via del cielo; in essi traluce il suo cuore, di cui hanno la chiave; son essi che lo menano alla virtú, alla gloria. E sarebbero pensieri comuni, tolti dall’arsenale platonico, se nella freschezza ed evidenza dell’espressione non sentissi l’entusiasmo d’una visione estatica, e se il poeta non vi fondesse entro la sua personalitá. Prima di conoscer Laura, non si sentiva buono a nulla, era scontento, «vile a sé stesso», come dice altrove con una di quelle espressioni che prorompono dal di dentro ad un tempo con l’idea; ora si guarda con compiacenza, e, per dirlo con una sua espressione di non minore energia, ora piace a sé stesso: perché il suo cuore prima era vóto, ora pieno di quel pensiero:
                                                             ’nsin allor io giacqui
A me noioso e grave:
Da quel di innanzi a me medesmo piacqui.
Empiendo d’un pensier alto e soave
Quel core, ond’hanno i begli occhi la chiave.