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vii. situazioni petrarchesche i29


trarsi. Si sente che nel poeta non c’è ancora quella concentrazione, quell’obblio amoroso di sé nell’argomento, quel di due uno, specie di matrimonio intellettuale, senza di cui è impossibile una produzione geniale.

Comincia con un ars longa, vita brevis, con una di quelle solite introduzioni, che sono i luoghi comuni de’ panegiristi e degli accademici sulla brevitá della vita, l’insufficienza dell’ingegno, la difficoltá e la nobiltá del soggetto. C’è una velleitá poetica, che vorrebbe divenire estro, ma è impedita da un «ma» imperioso, dalla freddezza ed esitazione interna. Onde la poesia si riduce in un «vorrei, ma», in due movimenti, de’ quali uno l’urta innanzi, e l’altro lo tira indietro. «La vita è breve, l’ingegno è timoroso, l’impresa è alta; ma il piacere mi sprona e il soggetto m’innalza.» «La mia lode è ingiuriosa agli occhi: ma non posso contrastare al desio.» «Vorrei guardar sempre quegli occhi, morire guardandoli; ma temo d’offenderli.» «E veramente morrei guardandoli, come neve disfatta agli ardenti raggi; ma la paura riscalda il core, agghiacciando il sangue.» «La vita m’è insopportabile, vorrei togliermela, ma la paura di maggior male m’affrena.» In queste prime tre stanze le difficoltá pullulano le une sulle altre; sono un dialogo, un incalzarsi di si e di no. Nella quarta stanza il poeta si mette




F. de Sanctis, Saggio sul Petrarca.

9

                                        Lasso, che desiando
    Vo quel ch’esser non puote in alcun modo;
    E vivo del desir fuor di speranza.
    Solamente quel nodo
    Ch’Amor circonda alla mia lingua, quando
    L’umana vista il troppo lume avanza,
    Fosse disciolto; i’ prenderei baldanza
    Di dir parole in quel punto sí nove,
    Che farian lacrimar chi le ’ntendesse.
    Ma le ferite impresse
    Volgon per forza il cor piagato altrove;
    Ond’io divento smorto,
    E ’l sangue si nasconde i’ non so dove,
    Né rimango qual era; e sonmi accorto
    Che questo è ’l colpo di che Amor m’ha morto.
         Canzone, i’ sento giá stancar la penna
    Del lungo e dolce ragionar con lei.
    Ma non di parlar meco i pensier miei.