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vii. situazioni petrarchesche | i27 |
che lavora a freddo e con artificio, pensando piú alla rettorica che a Laura. La materia che vuol trattare non è ancora organizzata; le idee gli stanno innanzi senza colore e senza calore;
Dispregiator di quanto ’l mondo brama, Per sollicito studio posso fanne; Potrebbe forse aitarme Nel benigno giudicio una tal fama. Certo il fin de’ miei pianti, Che non altronde il cor doglioso chiama, Vien da’ begli occhi al fin dolce tremanti, Ultima speme de’ cortesi amanti. Canzon, l’una sorella è poco innanzi, E l’altra sento in quel mcdesmo albergo Apparecchiarsi; ond’io piú carta vergo. Poi che per mio destino A dir mi sforza quell’accesa voglia Che m’ha sforzato a sospirar mai sempre. Amor, ch’a ciò m’invoglia, Sia la mia scorta e ’nsegnimi ’l cammino, E col desio le mie rime contempre; Ma non in guisa che lo cor si stempre Di soverchia dolcezza; com’io temo Per quel ch’i’ sento ov’occhio altrui non giugne; Che ’l dir m’infiamma e pugne; Né per mio ingegno (ond’io pavento e tremo), Siccome talor sole. Trovo ’l gran foco della mente scemo; Anzi mi struggo al suon delle parole. Pur com’io fossi un uom di ghiaccio al Sole. Nel cominciar credia Trovar, parlando, al mio ardente desire Qualche breve riposo e qualche tregua. Questa speranza ardire Mi porse a ragionar quel ch’i’ sentia: Or m’abbandona al tempo, e si dilegua. Ma pur conven che l’alta impresa segua, Continuando l’amorose note; Sí possente è il voler che mi trasporta; E la ragione è morta. Che tenea ’l freno, e contrastar noi potè. Mostrimi almen ch’io dica Amor, in guisa che se mai percote Gli orecchi della dolce mia nemica. Non mia ma di pietá la faccia amica. |