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metá del cammino. Qui non c’è d’antecedente altro che un: — Voglio cantar gli occhi di Laura — . Cominciate a leggere e vi accorgete che l’anima del poeta non è giá invasa dal soggetto,



                                        Che reservato m’hanno a tanto bene,
    E lei, ch’a tanta spene
    Alzò ’l mio cor; che ’nsin allor io giacqui
    A me noioso e grave:
    Da quel di innanzi a me medesmo piacqui.
    Empiendo d’un pensier alto e soave
    Quel core, ond’hanno i begli occhi la chiave.
         Né mai stato gioioso
    Amor o la volubile Fortuna
    Dieder a chi piú fur nel mondo amici,
    Ch’i’ non cangiassi ad una
    Rivolta d’occhi, ond’ogni mio riposo
    Vien, com’ogni arbor vien da sue radici.
    Vaghe faville, angeliche, beatrici
    Bella mia vita, ove ’l piacer s’accende
    Che dolcemente mi consuma e strugge;
    Come sparisce e fugge
    Ogni altro lume dove ’l vostro splende,
    Cosi dello mio core.
    Quando tanta dolcezza in lui discende.
    Ogni altra cosa, ogni pensier va fore,
    E sol ivi con voi rimansi Amore.
         Quanta dolcezza unquanco
    Fu in cor d’avventurosi amanti, accolta
    Tutta in un loco, a quel ch’i’ sento, è nulla.
    Quando voi alcuna volta
    Soavemente tra ’l bel nero e ’l bianco
    Volgete il lume in cui Amor si trastulla:
    E credo, dalle fasce e dalla culla
    Al mio imperfetto, alla fortuna avversa
    Questo rimedio provvedesse il Cielo.
    Torto mi face il velo
    E la man che sí spesso s’attraversa
    Fra ’l mio sommo diletto
    E gli occhi, onde di e notte si rinversa
    Il gran desio, per isfogar il petto,
    Che forma tien dal variato aspetto.
         Perch’io veggio (e mi spiace)
    Che naturai mia dote a me non vale,
    Né mi fa degno d’un si caro sguardo;
    Sforzomi d’esser tale.
    Qual all’alta speranza si conface.
    Ed al foco gentil ond’io tutt’ardo.
    S’al ben veloce, ed al contrario tardo