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i26 | saggio critico sul petrarca |
metá del cammino. Qui non c’è d’antecedente altro che un: — Voglio cantar gli occhi di Laura — . Cominciate a leggere e vi accorgete che l’anima del poeta non è giá invasa dal soggetto,
Che reservato m’hanno a tanto bene, E lei, ch’a tanta spene Alzò ’l mio cor; che ’nsin allor io giacqui A me noioso e grave: Da quel di innanzi a me medesmo piacqui. Empiendo d’un pensier alto e soave Quel core, ond’hanno i begli occhi la chiave. Né mai stato gioioso Amor o la volubile Fortuna Dieder a chi piú fur nel mondo amici, Ch’i’ non cangiassi ad una Rivolta d’occhi, ond’ogni mio riposo Vien, com’ogni arbor vien da sue radici. Vaghe faville, angeliche, beatrici Bella mia vita, ove ’l piacer s’accende Che dolcemente mi consuma e strugge; Come sparisce e fugge Ogni altro lume dove ’l vostro splende, Cosi dello mio core. Quando tanta dolcezza in lui discende. Ogni altra cosa, ogni pensier va fore, E sol ivi con voi rimansi Amore. Quanta dolcezza unquanco Fu in cor d’avventurosi amanti, accolta Tutta in un loco, a quel ch’i’ sento, è nulla. Quando voi alcuna volta Soavemente tra ’l bel nero e ’l bianco Volgete il lume in cui Amor si trastulla: E credo, dalle fasce e dalla culla Al mio imperfetto, alla fortuna avversa Questo rimedio provvedesse il Cielo. Torto mi face il velo E la man che sí spesso s’attraversa Fra ’l mio sommo diletto E gli occhi, onde di e notte si rinversa Il gran desio, per isfogar il petto, Che forma tien dal variato aspetto. Perch’io veggio (e mi spiace) Che naturai mia dote a me non vale, Né mi fa degno d’un si caro sguardo; Sforzomi d’esser tale. Qual all’alta speranza si conface. Ed al foco gentil ond’io tutt’ardo. S’al ben veloce, ed al contrario tardo |