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fuoco, senza di che sottilizza freddamente, come è il caso di parecchi sonetti. Questa poesia non si riferisce a nessun fatto, viene tutta dal di dentro. Quando ci è un’occasione, il poeta si



                                             Dolor, perché mi meni
    Fuor di cammin a dir quel ch’i’ non voglio?
    Sostien ch’io vada ove ’l piacer mi spigne.
    Giá di voi non mi doglio,
    Occhi sopra ’l mortal corso sereni,
    Né di lui ch’a tal nodo mi distrigne.
    Vedete ben quanti color dipigne
    Amor sovente in mezzo del mio volto,
    E potrete pensar qual dentro fammi.
    Lá ’ve di e notte stammi
    Addosso col poder c’ha in voi raccolto,
    Luci beate e liete;
    Se non che ’l veder voi stesse v’è tolto:
    Ma quante volte a me vi rivolgete,
    Conoscete in altrui quel che voi siete.
         S’a voi fosse si nota
    la divina incredibile bellezza
    Di ch’io ragiono, come a chi la mira,
    Misurata allegrezza
    Non avria ’l cor; però forse è remota
    Dal vigor naturai che v’apre e gira.
    Felice l’alma che per voi sospira,
    Lumi del del; per li quali io ringrazio
    La vita che per altro non m’è a grado.
    Oimé, perché si rado
    Mi date quel, dond’io mai non son sazio?
    Perché non piú sovente
    Mirate qual Amor di me fa strazio?
    E perché mi spogliate immantinente
    Del ben che ad ora ad or l’anima sente?
         Dico ch’ad ora ad ora
    (Vostra mercede) i’ sento in mezzo l’alma
    Una dolcezza inusitata e nova,
    La qual ogni altra salma
    Di noiosi pensier disgombra allora,
    Sí che di mille un sol vi si ritrova.
    E se questo mio ben durasse alquanto.
    Nullo stato agguagliarse al mio potrebbe:
    Ma forse altrui farebbe
    Invido, e me superbo l’onor tanto:
    Però, lasso, conviensi
    Che l’estremo del riso assaglia il pianto:
    E ’nterrompendo quelli spirti accensi,
    A me ritorni, e di me stesso pensi.