Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/342

336 saggi critici


greto del suo pensiero. Anzi la sua parola è il [suo] pensiero esso medesimo, se egli è vero che il pensiero preesiste a quella solo logicamente, e che nel perfetto scrittore la parola èssi sposata al pensiero prima ancora eh’ e si accorga dell’arcano connubio. In questo il fondamento dello stile: e tutte le regole che ne danno i critici non sono che derivazioni e corollari di questo principio unico. Onde non so accordarmi col Giordani, quando afferma il Leopardi aver voluto dissimulare nelle prose la sua eccedente grandezza : parendomi che appunto in questa medesimezza del pensiero e della parola, che è pregio proprio di quelle prose stia la vera grandezza e tutta la difficoltá e l’onnipotenza deH’arte. Nel che il Leopardi è di tanta eccellenza che pochi prosatori gli son pari al mondo: ed in Italia forse nessuno salvo Niccolò Machiavelli. Perocché il pensiero non è in lui cosa astratta ed estrinseca alla vita, ma ha evidenza di parola e potenza di azione : ed investe ed occupa il suo animo tutto esso 6 solo esso, agitandolo profondamente: di che nasce il carattere proprio del suo stile, la veritá eloquente. Schietta e viva rappresentazione del suo stato, ecco in che è l’eloquenza di questo scrittore: non impeti, non esclamazioni, non concetti; ogni lettera è sovente un pensiero unico, intorno a cui si aggruppano alcuni accessori, sempre nobili e delicati ed affettuosi, e ciascuno de’ quali ne contiene in sé molti e molti altri, che rimangono nella fantasia dell’autore; di maniera che il pensiero cominciato sulla carta pare si continui nel suo animo. Cosi ei non si rivela mai tutto, né tutto ad Iside s’innalza il velo: di che quella verecondia e quasi pudore, che molti nel suo stile hanno giustamente osservato.

E poi che questo spirito solitario non si nutre e non si alimenta di altro, che di se stesso, e vi si profonda tanto, che gli si toglie ogni altra vista d’intorno: donde quella che io chiamerei proprietá dello stile; per la quale egli non è mai altro che lui. Sempre nello scrivere dei piú tu trovi alcuna cosa che non è loro: reminiscenze di parlato e di scritto, di studi, di libri, sovente di sé medesimi in altri tempi e condizioni della vita. La parola è sempre in essi alcun che di estrinseco, e come di sovrapposto al pensiero: questo chiamano ornamento ed eleganza, e non è che improprietá, testimonianza di poco sano giudizio e d’ ingegno falso. Vi è un repertorio di frasi e di pensieri, comune a questa generazione di scrittori, provvisione abbondantissima; e ne vestono e adornano la loro miserie, dell’altrui belli. Servi della consuetudine, la quale rubaci a poco a poco tutt’ i piaceri della vita, e gittaci nella noia e nel vôto: ond’ è che tutto diventa mestiere, e amore e amicizia e gloria e virtú, ciascuna cosa con sue proprie usanze e cerimonie e abiti esteriori, e l’essere dá luogo al parere. Il quale difetto è principalissimo nelle lettere, imitanti per loro natura il linguaggio parlato: e spesso appo i nostri anche piú pregiati scrittori l’esagerazione delle cerimonie ricopre la povertá dell’affetto. Ma ecco qui lettere italiane, nelle quali si dá bando a tutta questa fraseologia ad imprestito e lingua di convenzione; e trovi quella casta e nobile sem-