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le «ricordanze» del settembrini 305


dieri mio parente». Ecco «l’omicciattolino di civile condizione,... bruno, acceso, butterato, facile ad accendersi come un solfanello, pronto come una vespa». E quel «bestione, rosso di peli, con tre denti in bocca»! Ma il prediletto è Pasquale, «il calzolaio», giovanotto pervertito dallo zio e dai compagni, innamorato di Lucia, ladro, omicida, «camorrista, diede ed ebbe di brave coltellate», e ora mansuefatto conosce i suoi errori e li piange. Il ritratto è tirato giú d’un fiato, e conchiuso con questo tratto di bonomia:

Mentre scrivo... egli mi sta vicino, seduto innanzi al suo bischetto, e tira lo spago; né potrebbe mai immaginare che io scrivo di lui, e della sua bella Lucia.

Come ci si vede il piacere dell’artista e del brav’omo! Pure, quel Pasquale gli martellava il cervello per tutto il giorno; e «quando cominciavo a dormire, ei mi svegliava con lo spietato martello che mi ammaccava e mi lacerava tutte le membra del corpo». Fu un refrigerio quando, attenuati i rigori, ebbe compagnia di soli politici. E venne il «caro Gennarino», col «signor zio», «un galantuomo di Cosenza», e il «festevole» Bellantonio, che Settembrini fece suo siniscalco:

un giovinastro alto, diritto, ben fatto della persona e con lunga chioma; ma un uccellaccio scapato, sventato, distratto, che parlando nel suo dialetto pare un tartaro, anzi gestisce più che parla, e leva le mani in alto, e mugola inarticolatamente: che ora corruga gli occhi loschi e sorride, ora li straluna e piglia un atteggiamento goffamente tragico: spesso in veste ed aria di gentiluomo, spesso tinto, lordo, affumicato, rabbuffato come un fornaio: e fornaio era la sua arte.


É uno spasso a sentirlo narrare le sue gesta.

Io sono Napoleone di Reggio, venite a Reggio, dimandate chi è Napoleone: e tutti vi risponderanno: — È Francesco Bellantonio... — . Una sera la signora e la servetta sole sole passeggiavano,