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l’uomo del guicciardini i3

Maria Impruneta», che «fa piova e bel tempo», e delle devozioni e de’ miracoli, e de’ digiuni e orazioni e simili opere pie, «ordinate dalla Chiesa o ricordate da’ frati» e dell’aiuto che Dio dá a’ buoni, e del buon successo delle «cause giuste»1. Stima che «la troppa religione guasta il mondo, perché effemina gli animi,... avviluppa gli uomini in mille errori e divertaceli da molte imprese generose e virili». Crede che, «dalle repubbliche in fuora, nella loro patria, e non piú oltre, tutti gli Stati, chi bene considera la loro origine, sono violenti», né v’è potestá che sia legittima: «né anche quella dell’imperatore, che è fondata in sull’autoritá de’ romani, che fu maggiore usurpazione che nessun’altra»; e non quella de’ «preti, la violenza de’ quali è doppia, perché a tenerci sotto usano le armi temporali e le spirituali».

Innanzi a quest’occhio «perspicace» tutto l’antico edificio crolla, e del Medio evo non rimane nulla. Il regno celeste rovina e si trae appresso nella caduta papa e imperatore. Lo spirito, adulto e per virtú propria emancipato, si ribella contro il passato dal quale è uscito e che lo ha cresciuto ed educato, caccia via da sé tutte le credenze e i principii, fattori di quella civiltá della quale egli è la corona e l’orgoglio, e si chiude nella terra, o nella vita reale, nel mondo naturale, cosí com’è e non come è immaginato, e pone la sua gloria nell’interpretarlo, nel comprenderlo e nel valersene a’ suoi fini.

Se il nostro savio ammette «con le persone spirituali» che la fede conduce a cose grandi, gli è non per alcuna assistenza soprannaturale o provvidenziale, ma perché «la fede fa ostinazione», e chi dura, la vince2. Quanto a lui, non gli è bisogno la fede, perché a vincere bastano le sue armi proprie, la naturale prudenza, e la dottrina e l’esperienza e quel suo terribile occhio «buono e perspicace». E non ci è latebra del cuore umano che stia nascosta a quell’occhio, e non apparenza e nebbia cosí fitta che gli chiuda la via, e non vanitá d’imma-



  1. p. 118.
  2. p. 83.