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Cosi Giove forma del suo corpo il mondo. Rimaneva la testa. E Roma, «caput mundi», dice che la testa è lei, e gli sciti dicono che è la Scizia; ma la testa è una, e vedete le medaglie, guardate alla Trinacria, la testa è la Sicilia. (Ilaritá prolungata) Il poeta, presa la carriera, continua a scherzarvi sopra, mettendo in evidenza i lati ridicoli del sistema, e volge e rivolge il ferro nella piaga:

                                         Eccu Giovi munnu, ed eccu
Lu munnu Giovi, nui Gioviceddi ancora;
Manciamu a Giovi, evacuamu a Giovi.
Si Giovi arraspa, la cosa è funesta,
La Sicilia cu tutti li crafocchi
Si subbissa  .  .  .(Ilaritá)
Si movi un’anca, l’Italia è la zita;
Prigamu a Giovi cu tuttu lu ciatu.
Chi stassi sempri tisu e stinnicchiatu. (Nuova ilaritá)
          

E una caricatura tirata giú con un buon umore inestinguibile, con una perfetta bonomia, e dove cose difficilissime vengon fuori con una luce di evidenza piena di brio.

Lampi di questa satira geniale appariscono qua e lá nelle favole e ne’ capitoli. Un umore pieno di spirito, di immaginazione e di bonomia penetra dappertutto, ne’ sonetti, negli epigrammi, nelle ricette, nel ditirambo, e fino nelle poesie di semplice occasione. Udite i bei versi alla Musa francisa:

                                              ’Na musa sicula
Scausa e ’n cammisa
S’offri a una nobili
Musa francisa.
     La prima è povira,
Ci manca l’isci,
L’autra è magnanima,
La cumpatisci.
     L’una á lu geniu
Pri so parenti,
L’autra lu spiritu
E li talenti.