Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/181


giovanni meli i75


non dirò il sarcasmo, ma fino la maliziosa ironia, che suole talora trovarsi inchiusa nel ritratto cosí per caso e senza che se ne accorga il poeta. Cosi è nella Villeggiatura, arguto dialogo in forma socratica, dove le domande son tali, che il nobile villeggiante è condotto a fare lui medesimo il ritratto ironico di sé e di «Medamusella», sua figlia, intorno alla quale spende e spande, contento pur che canti «arj e canzunetti», accompagnata da’ «picciotti schetti».

                     Lu cantu è la gran doti di me figghia,
Ddá si mustra, e cu’ è omu si la pigghia. (Ilaritá)
               


Il piú spesso dal ritratto si sviluppa la caricatura, un certo ingrandire e lumeggiare l’oggetto lá dove è il ridicolo, come nel Ritrattu di un certu filosofuni di la pasta antica.

Materia consueta di satira è la scienza astratta, il contrapposto della saggezza, com’è nel dialogo tra Anacreonte e Aristotile. Filosofia che non ha azione sulla vita, è ciarlataneria, è vanitá, come nelle Illusioni:

                                    Vigghia, suda e si afiatia
Su li libri e li scienzi,
Ma, Virtú, Filosofia,
Nun su’ dati a vui st’incenzi.
     Nun è omaggiu chi dispensa
A la bedda veritá,
Ma un trufeu chi alzari pensa
A la propria vanitá.
     Sulu cerca ammubbigghiari
Lu so spiritu di duri,
E cu chistu cummigghiari
Di lu cori li lord uri.
               

Queste idee vengono spesso innanzi al poeta, incalzato da quelle nuove correnti dell’opinione, tra le quali si dibatteva. Quel secolo de’ «lumi» fra tanta corruzione di costumi non gli va:

                               Chiú chi li lumi criscinu,
’Ncanciu di migghiurari,
L’omini ’nsalvaggiscinu!