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ugo foscolo i05


dall’uomo vivente. Ti senti come di notte e innanzi a un cimitero, con l’immaginazione percossa, e le proporzioni ti si confondono, e ti giunge non so quale senso di oscuro infinito tra il lugubre e il grottesco. Ma in questo mondo naturale penetra l’uomo e vi porta la luce e la misura, delicatezza, soavitá, grazia, tenerezza, vi porta la sua umanitá. Questo limite tra quelle tenebre, questa grazia tutta greca tra quel grottesco e quel gotico, questa fusione di pensieri, di sentimenti e di colori cosí diversi danno un carattere di originalitá a questo mondo, sono la sua personalitá. Cosi le cagne fameliche e la «immonda upupa» e il «mozzo capo» del ladro e il muggito de’ buoi sono un lugubre grottesco, mescolato con le immagini piú gentili del sentimento umano raccolte intorno alle profanate ossa di Parini. Il lugubre, il grottesco, il gotico, il tenebroso, l’indefinito, che piú tardi sotto nome di romanticismo invase l’arte, cominciava a venire a galla, e fu gran parte nel successo di questa poesia. Ma qui apparisce, come un mondo naturale, ancora biblico e primitivo, quasi uno strato inferiore di formazione, in riscontro di un mondo umano e civile, che se lo sottopone e se lo assimila. L’uomo penetra in quel mondo naturale col suo cuore e con la sua immaginazione, con tutte le sue illusioni, e lo illumina e lo infiora.

                               Rapian gli amici una favilla al sole
A illuminar la sotterranea notte.
Perché gli occhi dell’uom cercan morendo
Il sole, e tutti l’ultimo sospiro
Mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
Amaranti educavano e viole
Su la funebre zolla; e chi sedea
A libar latte, e a raccontar sue pene
A’ cari estinti, una fragranza intorno
Sentia qual d’aura de’ beati Elisi.
               

Quella favilla rubata al sole, l’uomo che cerca morendo la luce, le acque che educano viole sulla «funebre zolla», i vi-