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non il suono della voce, non la persona; indi la necessitá dell’attore. Togliete alla poesia drammatica la rappresentazione e rimarrá necessariamente un genere monco ed imperfetto. Il simile è della critica. Si sono scritte delle dissertazioni per provare la sua inutilitá. Eh! mio Dio! La critica germoglia dal seno stesso della poesia. Non ci è l’una senza l’altra. Cominciate dunque dal distruggere la poesia.

Il libro del poeta è l’universo; il libro del critico è la poesia: è un lavoro sopra un altro lavoro. E come la poesia non è né una semplice interpretazione, né una spiegazione filosofica dell’universo; cosí il critico non dee né semplicemente esporre la poesia, né solo filosofarvi sopra. Non questo, e non quello: cosa dunque? La piú natural cosa di questo mondo: quel medesimo che fa il lettore.

E cosa fa il lettore? Aprite un libro e leggete. E quando l’immaginazione comincia a mettersi in moto, quando vedete drizzarvisi avanti tre o quattro creature poetiche, e la camera si trasforma in un giardino, in una grotta, e che so io, l’incantesimo è riuscito; voi siete ammaliati; voi vedete quello stesso mondo che brillava innanzi al poeta.

E notate: ciò che voi vedete non è solo quello che è espresso nel libro, ma tante altre cose, parte legate con la visione, parte accidentali, mutabili, secondo lo stato d’animo nel quale vi trovate.

Nel lettore dunque sono due fatti: l’impressione che gli viene dal libro e la contemplazione ingenua, irriflessa del mondo poetico. Mettete tutto questo in carta, e ne nascerá una descrizione del mondo immaginato dal poeta, mescolata d’impressioni, di osservazioni, di sentimenti, dove si mostrerá ancora la personalitá del lettore.

Oso dire che questa specie di critica gioverá piú a formare l’educazione estetica di un popolo, che tutte le teorie. Se tre o quattro uomini di cuore avessero la felice ispirazione di fare delle letture a questo modo, desterebbero nell’anima rozza ed aspra delle moltitudini un sentimento di dignitá e di delicatezza che fruttificherebbe.