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non vi si sentisse per entro la sinceritá di un ardore e di un impeto giovanile, e se tanta pompa e tanta agitazione nel vuoto non fosse qua e colá accompagnata con una squisita semplicitá, venutagli dalla sua familiaritá con la poesia greca. Reco ad esempio questi versi:

                               Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive.
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Ché fosti donna, or sei povera ancella.
                         

E che grazia è in quei due ultimi versetti:
                               Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange!
                         

Non ci è ancora il leone, ma si vedono le unghie.

Sopraggiunge un vero colpo di scena. E una visione fantastica d’armi e d’armati, «come tra nebbia lampi». E il poeta dice all’Italia: — E non ti conforti? Guarda: sono i tuoi figli che combattono. Ma subito esclama:

                               .  .  .  .  .  O Numi, o Numi!
Pugnan per altra terra itali acciari
                         
E l’inno di gioja si converte in un lamento elegiaco sulla tomba del prode, che non può dire morendo:
                               Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo!
                         

Or questi trapassi, queste finzioni rettoriche, queste supposizioni smentite immediatamente, questi movimenti drammatici non generati dal distendersi naturale dell’argomento, ma venuti di fuori e con visibile artificio, questi pensieri e sentimenti vaganti nella loro generalitá, senza niente d’ intimo e di perso-