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28 saggi critici

il suo lamento nei momenti di dolore dell’umanitá o degl’individui. Il mistero chiude al di dentro di sé un’antitesi, il cui termine superiore conciliativo è «Jéhovah», «une immense statue dans l’ombre», anch’esso un enigma.

                                    Oui, mon malheur irréparable,
C’est de pendre aux deux éléments,
C’est d’avoir en moi, misérable,
De la fange et des firmaments!

Hélas! hélas! c’est d’être un homme;
C’est de songer que j’ étais beau,
D’ignorer comment je me nomine,
D’être un ciel et d’étre un tombeau1!
                              
                          L’être éternellement montre sa face doublé,
               Mal et bien, giace et feu;
L’homme sent á la fois, âme pure et chair sombre,
La morsure du ver de terre au fond de l’ombre
               Et le baiser de Dieu.
                    

Fango e firmamento, cielo e tomba, ecco l’antitesi riprodotta dal poeta sotto mille forme.

Victor Hugo non è giunto di un salto a questo genere di poesia: il dolore è stato la sua musa, e gliene ha dato la piena coscienza.

Il dolore, come ritempra l’animo, cosí rinfresca l’ingegno. Ogni giorno di vita toglie un fiore al nostro mondo poetico, insino a che inaridisce. Il poeta allora esausto ripete sé stesso; non gli si presentano piú innanzi le cose, ma frasi e parole, e nasce la maniera. Le anime piú ricche sentono il bisogno di rinfrescare le loro impressioni, di ringiovanire il loro mondo interiore.

Il dolore è il Colombo che apre al poeta un mondo nuovo. Egli gitta l’anima in una diversa situazione, e le muta gli occhi,



  1. A celle qui est voilèe, 1. VI [XVI], — Vedi ancora Pleurs dans la nuit, 1. VI [VI].