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LE «CONTEMPLAZIONI»
di Victor Hugo.
— Francesi, lasciate la Borsa e le feste, abbandonate la vostra tumultuosa Parigi, e seguitemi: io vi menerò meco in campagna. Udiamo il canto degli uccelli, lo stormir delle fronde, il mormorare delle acque, le cento voci della natura: o, se vi piace meglio, rientriamo nelle nostre case e rifacciamoci fanciulli; riafferriamo i cari momenti cosí presto fuggiti del nostro passato, contempliamoci quali fummo ne’ nostri figliuoli e dilettiamoci de’ loro diletti; cogliamo un fiore, diamo la caccia alle farfalle; parliamo con gli uccelli...— Che cosa vuole da noi questo poeta? La poesia è morta, — mormora ciascuno, e ciascuno lo segue. Gran mago ch’è questo Victor Hugo! — Affacciatevi: passa Canrobert. — Lasciatelo passare; io leggo «Rosa1»; questa paginetta vale tutta la guerra di Crimea.
— Non andiamo quest’oggi al battesimo? Vi saranno ottanta vescovi con le loro mitre gemmate, co’ loro ornamenti di oro.
— Lasciatemi stare, amico mio; vescovi, cardinali, non valgono per me i raggi di questa margherita2 «Et moi, j’ ai de rayons aussi!» — «Vive l’Empereur!» — Ed io griderei: Viva il «Maestro del villaggio3»!; la corona, onde lo ha cinto il poeta, luce piú che tutte le corone imperiali. — Che hai, Teresa,