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20 | saggi critici |
d’orrore risponde a questa immagine: la coscienza si ribella al cuore. La nutrice nomina Ippolito con disprezzo:
— Cet Hippolyte...... Phèdre — Ah! Dieux! |
Qui è la crisi della scena; l’attenzione si raddoppia; s’intravvede qualche mistero orribile. E fin qui quante mutazioni! quante gradazioni! come lampeggia al di fuori l’anima tempestosa! Questo è il movimento drammatico.
Questo è giá molto, ma è ancora insufficiente alla poesia. Anche in Seneca vi è molto movimento, una ricca esplicazione del carattere; basta leggere la sua scena della dichiarazione, imitata da Racine. Ippolito vede Fedra esitante: la esorta a parlare.
Phèdre — Curae leves loquuntur, ingentes stupent. Hippolytus — Committe curas auribus, mater, meis. |
Quel «mater» è di terribile effetto drammatico e fa presentire tutto l’orrore della situazione; lo stesso effetto fa il «signor...» di Alfieri: Mirra non osò dire: — Mio padre — . Ma Seneca non è poeta; e però tutto questo movimento è qualche cosa di artificiale, senza naturalezza e senza colore: l’anima vi rimane estranea. Seneca filosofeggia in versi; i sentimenti e le immagini ei te le muta in sentenze, in concetti astratti. — Perché non parli? — , domanda Ippolito. Fedra risponde con una sentenza:
Curae leves loquuntur, ingentes stupent. |