vertito. In queste rapide mutazioni, in questo movimento interiore del carattere, è posto il segreto dell’arte e l’interesse drammatico: al che suppliscono i mediocri col cumulo degli accidenti, con la complicazione dell’intrigo, co’ quadri ed i colpi di scena.
Paragonate le prime scene della Fedra. Quanto languore nella prima! quanto interesse nella terza! Nella prima vi è un movimento di fatti, che non hanno alcuna eco nell’anima. Ippolito vuol partire per rivedere il padre, da cui è da sei mesi lontano; c’è la risoluzione, manca ogni espressione di sentimento filiale, il dolore, l’ansietá, l’impazienza. Teramene accusa Teseo: Ippolito lo difende; si esprime con convenienza, ma senza caldezza; alla sua difesa non partecipa il cuore. E parli di Fedra o di Arida, non si passa di lá dalla superficie, il suo cuore riman chiuso; aggiungi, ad ogni minimo pretesto, narrazioni de’ fatti antecedenti: hai piuttosto una lunga conversazione, che una vera scena drammatica. Ma quanto interesse nella terza! Ciascuna risposta di Fedra è una nuova faccia della sua passione; la contraddizione scoppia dalle prime parole, la nutrice esclama a ragione:
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Comme on voit tous ses voeux l’un l’autre se détruire! |
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Niente stagna, tutto è a rapidi tocchi; questa scena è udita con tant’attenzione che, quantunque lunghetta, sembra duri appena un minuto. Eppure, se guardiamo alla superficie, non ci è di che levarla poi tanto al cielo. Se io volessi farne il sunto allo stesso modo che fa
Dumas per rispetto alla
Mirra, direi: — È una serva che prega la padrona a svelarle il suo segreto; e la padrona, dopo di essersi fatta pregar ben bene, glielo scopre — . È un fondo volgare e da’ commedia; il che mostra, una volta di piú, che l’interesse drammatico non è nel fatto, nell’esterno. Qui l’esterno è messo in movimento dalla vita interiore, qui in ogni minimo particolare si affaccia l’anima: e che pienezza di vita! Fedra soffre, e dice e disdice: il soffrire la rende impaziente, scontenta di tutto. La vista del sole la intenerisce. La sua fantasia corre appresso ad Ippolito. Un grido